Un piatto di pasta integrale biologica al pesto, seguito da bocconcini di tacchino alla romana con carote julienne e per concludere frutta fresca di stagione. Un pasto semplice (preso dal calendario del menù settimanale di una scuola) importante per la crescita di un bambino. Di per sé replicabile anche a casa. Ma in realtà non è alla portata di tutti.
Non sempre nelle case degli italiani i genitori sono in grado, soprattutto per mancanza di soldi, di mettere in tavola tutti i giorni pasti equilibrati, variegati e gustosi. Secondo una stima di Save the Children, con la pandemia e la chiusura delle scuole circa 160mila bambini in Italia hanno subito una perdita grave nelle loro crescita perché non hanno potuto usufruire del servizio ristorazione. Già perché uno dei meriti indiscutibili delle mense scolastiche è quello di garantire ai bambini più poveri almeno un pasto nutriente al giorno, che spesso è anche l’unico della giornata. La cena è poi arrangiata dai genitori con quello che hanno, spesso cibo confezionato a basso costo e di scarsa qualità.
L’ong ActionAid ha sottoposto un questionario a 203 famiglie, che ricevono aiuti alimentari a Corsico (comune dell’area metropolitana di Milano) attraverso un progetto promosso insieme alla cooperativa La Speranza, Buon Mercato e il Coordinamento Genitori Democratici Lombardia. Solo due famiglie tra quelle intervistate hanno dichiarato di effettuare cinque pasti giornalieri (colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena) come indicati dall’Organizzazione mondiale della sanità, mentre altre 145 famiglie (il 71,4%) hanno dichiarato di non effettuare più di due pasti giornalieri, variabili tra colazione, pranzo e cena. Inoltre, 10 famiglie, per un totale di 10 minori, raccontano che i propri figli non mangiano più di due volte al giorno. A causa del lockdown, infine, 156 delle famiglie intervistate (il 76,85%) ha dovuto saltare interi pasti a causa della mancanza di cibo. Per 35 si è verificato meno di dieci volte durante i due mesi del lockdown, mentre per la stragrande maggioranza (135 famiglie), questo è accaduto più di dieci volte, con punte 20/30 episodi in alcuni specifici casi.
“Che cosa emerge da questi dati?” scrive ActionAid nel rapporto La pandemia che affama l’Italia.
In primo luogo, i minori e le donne sono i soggetti più esposti al fenomeno della povertà alimentare, caratterizzata sia da un’insufficiente quantità di cibo (non si consumano abbastanza pasti quotidiani), sia da una dieta inadeguata e poco diversificata (si consuma poca verdura e frutta, non si riesce a garantirsi un pasto con carne, pesce, pollo per due giorni consecutivi). In secondo luogo, il lockdown ha accentuano significativamente il problema. La maggior parte degli intervistati (il 76,85%) ha sofferto di grave insicurezza alimentare durante i due mesi della pandemia. I dati, infine, rilevano come l’acceso a un cibo di qualità non sia solo un problema economico ma anche di conoscenze di base necessarie a capire il concetto di dieta sana.
I risultati del questionario alle famiglie di Corsico riguardano un piccolo gruppo di persone, ma sono molto significativi, perché ci permettono di capire cosa succede in molte case. Quelle 203 famiglie di Corsico non sono certo un caso isolato. Nella riapertura delle scuole c’è quindi anche questo aspetto positivo: i bambini più poveri potranno tornare a mangiare in maniera equilibrata e nutriente.
Di povertà alimentare abbiamo parlato insieme a Roberto Sensi di ActionAid e Luciano Gualzetti di Caritas Ambrosiana.